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4. Pace e disarmo

Disarmare significa letteralmente “togliere le armi, privare delle armi”. Il disarmo è pertanto un processo attraverso il quale arrivare a “privare delle armi” chi le armi le detiene, le possiede, le usa. Questo processo ha un evidente legame con la costruzione della pace ed è una sfida globale lanciata dai movimenti pacifisti e nonviolenti qualche decennio fa attaverso la lotta contro il nucleare. Solo negli anni Ottanta del Novecento, in Italia, è partita una mobilitazione della società contro la scelta del governo di destinare l’aeroporto di Comiso (in provincia di Ragusa) a base missilistica della NATO (organizzazione internazionale per la collaborazione nel settore della difesa), con lo scopo di ospitare i missili nucleari durante la guerra fredda.

Tra le iniziative di mobilitazione ci sono state la terza marcia Perugia-Assisi del 27 settembre 1981, un evento iniziato da Aldo Capitini nel 1961 e che nel 2021 compie sessant’anni, il cui slogan è stato “Contro la guerra: a ognuno di fare qualcosa” e la manifestazione di Roma del 24 ottobre 1981. Uno degli esiti più interessanti di questa mobilitazione è stata la “denuclearizzazione” di alcuni Comuni virtuosi, particolarmente sensibili alla tematica; ancora oggi sotto l’insegna topografica, si trova la scritta “Comune denuclearizzato o zona denuclearizzata”. Pur non avendo valore giuridico, questa dichiarazione dimostrava sensibilità e impegno delle amministrazioni comunali ad escludere dai territorio di competenza la costruzione di centrali nucleare, l’effettuazione di prove o esplosioni nucleari, il passaggio di armi nucleari e scorie radioattive.

Non è un caso che quello che spesso viene identificato come il simbolo della pace sia in origine il simbolo della campagna per il disarmo nucleare (Campaign for Nuclear Disarmament, CND) nata nel 1958 a Londra. Per un paio d’anni e fino alla risoluzione della crisi missilistica di cuba avvenuta nel 1962, la campagna ebbe una grande risonanza; successivamente, l’attenzione sui rischi e le minacce dell’uso di armi di distruzione di massa diminuì e la campagna rallentò le sue azioni. È tornata in auge negli anni Settanta quando il dispiegamento di missili in Gran Bretagna e lungo la cortina di ferro aveva fatto pensare ad un imminente conflitto nucleare. La fine della guerra fredda e i successivi processi storici e politici rallentarono nuovamente le attività della CND, oggi concentrate contro il progetto del Regno Unito che prevede l’acquisto di testate nucleari da installare sui missili Trident e per la giustizia climatica

Alla scala internazionale, il disarmo nucleare passa attraverso la campagna “ICAN” finalizzata alla messa al bando delle armi nucleari e l’Iniziativa Umanitaria sottoscritta da 124 Stati nell’ottobre 2013, che si ritrovano attorno al trattato di non proliferazione nucleare, diventati 159 nel 2015 (quello italiano non figura ancora tra i firmatari). La campagna ICAN ha ricevuto il premio nobel per la pace nel 2017.

In Italia, la Rete Italiana per il Disarmo e i Beati i Costruttori di Pace hanno lanciato, in occasione della “Settimana per il disarmo” (24-30 ottobre 2015), una campagna di 3 firme per 3 richieste rivolte al Presidente della Repubblica e al Primo Ministro. La campagna si inserisce nelle riflessioni sul settantesimo anniversario dello sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki (per approfondimenti, si veda il documento Ricordiamoci della nostra umanità).

Tutt’oggi, la mobilitazione di massa per il disarmo si concentra prevalentemente sul settore nucleare, relativo cioè ad armi non convenzionali, trascurando spesso il settore delle armi convenzionali o riservandogli scarsa attenzione pur essendo quello che interessa una grande quantità di attori e un enorme giro d’affari. Su quest’ultimo punto, cioè sulla questione delle armi convenzionali, la mobilitazione ha approcci diversi e complementari.

Da un lato c’è chi, come i gruppi nonviolenti, chiede una totale abolizione delle armi.

Dall’altro c’è chi chiede invece un maggiore controllo e una più rigida regolamentazione sul commercio internazionale delle armi. Questo significa cominciare, innanzitutto, con la ratifica del Trattato sul commercio delle armi (ATT) e con l’applicazione rigorosa delle regole che l’Unione Europea Codice di condotta, 1998 e Posizione comune sulle esportazioni di sistemi militari, 2008).

La Posizione Comune dell’UE intende “impedire l’esportazione di tecnologia e attrezzature militari che possano essere utilizzate per la repressione interna o l’aggressione internazionale o contribuire all’instabilità regionale”. Pur con intenti interessanti, la Posizione però non è né vincolante né ha capacità di sanzionare chi la viola.

La Rete italiana per il disarmo e l’OPAL (Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa) di Brescia, membro della Rete che monitora scientificamente normative ed azioni degli Stati, in particolare dell’Italia, sono attori che puntano al controllo del rispetto delle regole sulle armi leggere e di piccolo calibro al fine di realizzare una ristrutturazione sostenibile dell’industria militare. Giorgio Beretta, analista dell’OPAL e membro di Rete disarmo, sostiene che le priorità siano tre:

  • rafforzare la legislazione europea e le legislazioni nazionali in modo da impedire effettivamente che le armi vengano esportate a regimi autoritari, dove si verificano gravi violazioni dei diritti umani, in zone di instabilità, ecc.;
  • esaminare attentamente le relazioni governative sulle esportazioni di armamenti dei propri governi;
  • ripensare a livello europeo il ruolo, le funzioni e la sostenibilità delle industrie militari nazionali.

“È inaccettabile ed insostenibile che le industrie dei paesi dell’Ue, incoraggiate dai rispettivi governi, continuino a competere tra loro per accaparrarsi nuovi acquirenti soprattutto nelle zone ricche di risorse energetiche e materie prime che, come sappiamo, sono anche le zone di maggior tensione del mondo. Anche nel campo della difesa c’è quindi bisogno non solo di più Europa, ma di una Europa lungimirante e soprattutto sostenibile”.

A questo proposito una trattazione a parte meritano le spese militari, cioè fondi che lo Stato eroga per mantenere le forze armate (esercito, marina, aviazione, ecc.) cioè “spese di personale”, addestramento e attività delle medesime (spesa di esercizio), progettazione e acquisto di nuovi sistemi militari (spesa di investimento), finanziamento nel settore delle armi. Queste spese danno vita ad un mercato militare mondiale all’interno del quale il commercio di armi, a livello globale, occupa solo una piccola parte, circa il 3-4%. In generale, i tre maggiori capitoli di spesa per uno stato sono la sanità, l’istruzione e la difesa. Ci sono Stati che investono buona parte delle loro entrate nella difesa, ma anche alcuni altri che hanno deciso di sopprimere questa voce di spesa come la Cosa Rica che ha smantellato il suo esercito nel 1948, dopo una guerra civile. Il SIPRI, cioè l’Istituto internazionale di ricerca per la pace (Stockholm International Peace Reasearch Institute) di Stoccolma e l’IISS, l’Istituto internazionale per gli studi strategici (International Istitute for Strategic Studies) nato a Londra, ma con sedi in altre città del pianeta, sono attualmente le fonti più accreditate di dati sulle spese militari e il commercio di armi. L'Italia è al quinto posto in Europa per spese militari e all'undicesimo a livello globale con circa 25 miliardi di euro nel 2020 e un aumento del 7,5% rispetto al 2019; dati che non accenano a diminuire nel 2021 evidenziando un aumento di 8,1% rispetto al 2020.  

La questione del disarmo resta complessa e strategica perché è il presupposto della costruzione del diritto alla pace. Il 19 dicembre 2017, l’Assemblea delle Nazioni Unite ha votato ratificando in via definitiva la Dichiarazione sul diritto alla pace: 131 paesi hanno votato favorevole, 34 contrari (tra cui gli Stati Uniti), 19 astenuti (tra cui l’Italia) oltre a 9 paesi assenti durante il voto.

Si tratta anche di una questione non così conosciuta a livello sociale. Portata avanti da movimenti minoritari, talvolta marginalizzati dai poteri statali forti, la campagna per il disarmo (sia esso non convenzionale o convenzionale) non ha mai ottenuto ampia diffusione e larga base di consenso e consapevolezza; resta ancora in mano ad una manciata di analisti e di gruppi militanti ed attivisti. Mentre, in generale, il rifiuto della guerra e la costruzione di una cultura di pace conquistano – fin dagli anni ‘80 del Novecento con la questione degli euromissili USA e successivamente, negli anni ‘90 con i conflitti nei Balcani – una larga base di consenso. Ai movimenti pacifisti, infatti si uniscono alla causa i movimenti delle donne, i movimenti ecologisti, i movimenti per la difesa dei diritti umani, i movimenti per l’obiezione di coscienza.

In questo allargamento della base può essere iscritto anche il lancio, nel 2000, in concomitanza con il grande Giubileo di Roma, della campagna contro le banche armate (cioè contro le banche che sostengono la produzione e il commercio degli armamenti) da parte di tre riviste di estrazione cattolica, Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia.

Il percorso verso il disarmo resta ancora in buona parte da compiere; le banche, anche quelle più virtuose, sono comunque da tenere sotto controllo; le spese militari degli stati sono da monitorare costantemente. Infine, il ruolo delle scelte individuali e collettive è sempre più fondamentale perché come ribadito da Giovanni Paolo II nel 2001 “[…] non è sufficiente limitarsi ad iniziative straordinarie. L'impegno per la giustizia richiede un autentico cambiamento dello stile di vita, soprattutto nelle società del benessere […]”.

Nel 1981, le Nazioni Unite hanno deciso di istituire la Giornata internazionale della pace: il 21 settembre 2021 questa ricorrenza è giunta al suo quarantesimo anno di età. Tema dell’anno “Recuperare meglio per un mondo equo e sostenibile”Azioni da implementare: opposizione agli atti di odio online e offline; diffusione di compassione, gentilezza e speranza in questa fase delicata della pandemia in cui muoviamo passi importanti per la ripresa globale.

In linea con l’appello del Segretario generale per un cessate il fuoco globale per garantire che le persone colpite dal conflitto abbiano accesso a vaccinazioni e trattamenti salvavita, nel febbraio 2021 il Consiglio di sicurezza ha approvato all’unanimità una risoluzione che chiede agli Stati membri di sostenere una “pausa umanitaria sostenuta” ai conflitti locali. Con gli uomini e con la natura, il tempo della pace è ora perché il cambiamento climatico ci chiama ad azioni concrete immediate.