2.2. Pace e diritto alla pace Nelle plaghe dell'Oriente
sia pace sulla terra...
Non più sangue, ma sudore
irrori le vene dei campi,
e al tocco della campana di ogni paese
sia un canto di benedizione.
Nelle plaghe dell'Occidente
sia fertilità sulla terra…
Che da ogni stella sgorghi la rugiada
e ogni spiga si fonda in oro,
e quando gli agnelli pascoleranno sul monte
germoglino e fioriscano le zolle. […]
(Versi tratti dalla poesia Antasdan/Benedizione dei campi dei quattro angoli di mondo
di Daniel Varujan, poeta armeno 1884-1915; la poesia è stata pubblicata nel 1914)
“Facciamo pace” è una delle espressioni più diffuse del linguaggio quotidiano. Anche nel lessico mediatico e accademico la parola pace ha un suo posto di primo piano: peacekeeping, mediazione o risoluzione non violenta dei conflitti, formazione alla pace, diritti umani e pace, ecc. Ma cosa significa pace? Dal latino pax ha la stessa radice –pak e –pag che si ritrova in pangere che significa fissare, conficcare, pattuire e in pactum, patto. Il dizionario la definisce da un lato come una condizione opposta alla guerra, di assenza di guerra e dall’altro anche come una situazione di armonia tra parti sociali, nelle relazioni private e in quelle pubbliche. Questo duplice significato viene proposto anche nella risposta che Papa Francesco ha dato alla domanda “cos’è la pace”. Davanti a circa sette mila bambini riuniti per un’udienza organizzata dalla Fondazione Fabbrica della pace, ha dichiarato che "la pace è prima di tutto che non ci siano le guerre, ma anche che ci sia la gioia, l'amicizia tra tutti, che ogni giorno si faccia un passo avanti per la giustizia, perché non ci siano bambini affamati, malati che non abbiano la possibilità di essere aiutati nella salute. Fare tutto questo è fare la pace. La pace - ha detto ancora - è un lavoro, non è uno stare tranquilli, lavorare perché tutti abbiano la soluzione ai problemi, ai bisogni che hanno nella loro terra, nella loro patria, nella loro famiglia, nella loro società: così si fa la pace, artigianale. […] C'è tanto bisogno di fabbriche della pace, perché purtroppo le fabbriche di guerra non mancano" (11 maggio 2015).
Da questo duplice significato emerge che la pace può avere una faccia negativa ed una positiva. John Galtung ci dice che la pace negativa, si vis pacem para bellum (cioè “se vuoi la pace, prepara la guerra”) è appunto “l’assenza di violenza diretta, di uccisioni e ferimenti con armi, di vilipendio verbale”, di odio, mentre la pace positiva, si vis pacem para pacem (cioè “se vuoi la pace, prepara la pace”) è “quando scorre qualcosa di positivo tra le parti facendole sentir bene reciprocamente”. La pace è “una parola d’onore, come la salute una salvezza per molti: un centro focale di sogni e desideri, un sommo bene che dev’essere sia molto preciso sia riconducibile a un lavoro di pace professionale e mantenuto aperto, riempito di nuovi sogni ed aspirazioni”. La pace negativa è un periodo compreso tra due guerre, un armistizio, una tregua tra parti contendenti che hanno accettato passivamente un compromesso le cui condizioni non sono costruite attraverso il consenso. Vedere la pace solo come assenza di guerra però mutila la storia. Prima ancora di Galtung, il filosofo Immanuel Kant, con il suo “Progetto per la pace perpetua” (1795), aveva teorizzato che il diritto all’autodeterminazione dei popoli fosse la condizione primaria per la diffusione di rapporti pacifici tra stati e per la creazione di una federazione di stati democratici. Il “progetto” non si è mai realizzato: gli stati democratici di oggi, pur ripudiando la guerra (come l’Italia; vedi anche il focus 1), la considerano ancora una delle possibili soluzioni in caso di aggressione. Per approfondire la storia del processo europeo ed internazionale di mantenimento della pace e dei movimenti pacifisti dalla rivoluzione francese ai giorni nostri, si veda la Guida Unimondo “Pace” di Emanuela Limiti. Un riferimento più esplicito ai movimenti pacifisti verrà fatto nel focus 3, affrontando la questione del disarmo. È infatti questa azione di opposizione agli armamenti, di antimilitarismo, di “rinuncia”, di obiezione alle armi (leggi la storia dell’obiezione di coscienza in Italia), che ha caratterizzato buona parte dei movimenti pacifisti negli anni ’80 e ’90 del Novecento, in Italia, ma anche in molti altri Paesi. Riprendendo l’idea della pace positiva emerge come essa non rappresenti più solo il punto di arrivo di una contrattazione o di una mobilitazione, come avveniva durante il secolo scorso (si pensi ai movimenti pacifisti alla scala internazionale e in Italia), ma un processo per la realizzazione di un progetto di convivenza civile. Questo ci dice molto sul concetto stesso di pace, come su quello di guerra (vedi il focus 2.1 “Conflitti e guerre”), che evolve nel tempo e nello spazio, che non è mai stato immutabile ed universalmente condiviso. La costruzione della pace positiva necessita però anche di strumenti istituzionali e giuridici che ne garantiscano la durabilità. La Società delle Nazioni prima e l’ONU poi hanno avuto questo ruolo di strutture finalizzate a stabilire un nuovo ordine mondiale, a seguito della seconda guerra mondiale, e a mantenere relazioni di pace. Nel 1945, la Carta delle Nazioni Unite – che quest’anno compie settant’anni – introduce (art. 4) il concetto di Stati “amanti della pace”, cioè che dimostrino di essere capaci di “risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo”. La Carta è rivoluzionaria per il diritto internazionale perché definisce la guerra come “flagello”, la ripudia e la nega. La conferma viene anche dall’articolo 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 che perentoriamente prescrive: “qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalla legge”. Attraverso la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e il rafforzamento dell’idea che la persona sia un valore da anteporre a quello dello Stato, la pace si struttura come un diritto umano, vitale, in quanto la guerra è negazione della vita stessa. Nell’articolo 28 della Dichiarazione – commentato da Antonio Papisca del Centro Diritti Umani dell’Università di Padova –, si afferma che “ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati”. Ciò dimostra un’attenzione giuridica per il diritto alla pace, anche se i passaggi più delicati della Carta delle Nazioni non sono ancora stati attuati come, ad esempio, l’obbligo degli stati di conferire parte delle loro forze militari, in via permanente, alle Nazioni Unite, ad oggi mai adempiuto. Conseguenza di questo inadempimento è il fatto che l’Onu debba, in caso di necessità, racimolare a fatica dagli Stati Caschi Blu spesso impreparati, inadeguati, inviati con notevole ritardo, con tutte le ricadute negative che molte missioni di pace delle Nazioni Unite hanno riportato. La necessità di lavorare sul diritto alla pace e su un maggiore rispetto della Carta delle Nazioni Unite all’indomani della caduta del muro di Berlino e della fine degli schieramenti della guerra fredda, è stata avanzata dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, l’egiziano Boutros Boutros-Ghali (1992-1997) nella sua “Agenda per la Pace” del 1992. La richiesta agli Stati era di proseguire nel delicato campo della pace e della sicurezza internazionale, ma la risposta, in particolare degli Stati Uniti è stata di altra natura. Con l’idea di un “nuovo ordine mondiale” basato sulla sovranità degli stati, gli Stati Uniti di George Bush hanno tentato in tutti i modi di riappropriarsi dello ius ad bellum, cioè il diritto di fare la guerra. Innanzitutto, avvalendosi del diritto di veto, gli Stati Uniti hanno impedito la rielezione di Boutros Ghali, interrompendo il processo da lui sostenuto di riconoscimento dello ius ad pacem, cioè il diritto alla pace. Con gli Stati Uniti protagonisti, si inaugura una stagione di nuove guerre a tutt’oggi ancora in piena espansione, di terrorismo, di torture, di negazione dei diritti umani, di riarmo generale. Come mai costruire la pace positiva secondo la Carta delle Nazioni Unite è così difficile per gli Stati aderenti? Se da un lato gli Stati concordano in modo quasi unanime sull’idea di diffondere una cultura di pace cioè di lavorare per costruire valori, attitudini, comportamenti che guidino ad una convivenza pacifica, dall’altro però non sono concordi nell’accettare la pace come diritto, regolato da norme giuridiche e quindi di accettarne gli obblighi che ne deriverebbero come ad esempio avviare un processo di disarmo del proprio Paese. Alla luce di questo, cosa comporterebbe nello specifico per l’Italia, paese membro delle Nazioni Unite, riconoscere nel proprio ordinamento il diritto alla pace? Innanzitutto, oltre a contribuire al funzionamento pieno delle Nazioni Unite e delle altre istituzioni multilaterali come definito dal Trattato di Lisbona del 2007 (in particolare gli artt. 3, 21, 23, 26 del TUE), l’Italia, nel rispetto delle misure previste dalla Carta delle Nazioni Unite (artt. 1 e2 e dal Capitolo VII, artt. 43 e ss.) sarebbe chiamata a:
Le Nazioni Unite, attraverso il Consiglio dei diritti umani, da anni stanno cercando di far riconoscere agli stati il diritto alla pace come diritto fondamentale delle persone e dei popoli senza non poche difficoltà e il rifiuto da parte di alcuni tra gli stati più potenti a livello internazionale. La prima importante risoluzione risale al 1978, sulla preparazione delle società a vivere in pace nella quale si dichiara che "ogni nazione e ogni essere umano, a prescindere da considerazioni di razza, coscienza, lingua o sesso, ha il diritto intrinseco a vivere in pace. Il rispetto di tale diritto, al pari degli altri diritti umani, risponde agli interessi comuni di tutta l’umanità e costituisce una condizione indispensabile per il progresso di tutte le nazioni, grandi e piccole, in tutti i campi. Nel 1984, l’Assemblea dell’ONU adotta la Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace. Più recentemente, dal 2006 ai giorni nostri, il Consiglio per i diritti umani dell’ONU, attraverso un gruppo di lavoro intergovernativo, sta cercando di elaborare una Dichiarazione sul diritto alla pace (vedi la prima bozza della dichiarazione .in pdf, in italiano), che non è stata però approvata. A questo proposito, una Risoluzione del Consiglio per i diritti umani del 1° ottobre 2015 e intitolata “Promozione del diritto alla pace” rinnova il mandato al gruppo di lavoro intergovernativo che per il 2016 dovrà presentare un nuovo testo della Dichiarazione, con l’obiettivo di farlo approvare dall’Assemblea delle Nazioni Unite. Nel 2014, a cento anni dallo scoppio della prima guerra mondiale, è stata lanciata la Campagna per il diritto alla pace con l’appello “Cento anni di guerre bastano! Abbiamo diritto di vivere in pace! Dopo cento anni di orribili massacri e crimini contro l’umanità è venuto il tempo di riconoscere che la pace è un diritto umano fondamentale della persona e dei popoli, pre-condizione necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti umani. Un diritto che deve essere effettivamente riconosciuto, applicato e tutelato a tutti i livelli, dalle nostre città all’Onu [...] Per l’affermazione del diritto alla pace devono mobilitarsi tutte le persone di buona volontà, le associazioni di volontariato, i movimenti sociali, in particolare gli Enti locali e le Regioni che in Italia, per primi al mondo, a partire dagli anni ‘80 hanno inserito in migliaia di statuti e di leggi l’esplicito riconoscimento del diritto alla pace come diritto della persona e dei popoli”. La questione della pace, quindi, non è solo qualcosa che interessa i movimenti pacifisti e poche organizzazioni specializzate, essa rappresenta una questione globale, appartiene a tutti e a tutte noi in quanto progetto di convivenza civile, perché se vogliamo la pace, è necessario preparare la pace attraverso un processo di dialogo interculturale e la costruzione della cittadinanza plurale.
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Leggere, vedere, ascoltare
Spunti per approfondire il tema "guerra e pace" adatti alle diverse fasce d'età
Marcia Perugia-Assisi
Avviata nel 1961 da Aldo Capitini, l’ultima e XXI edizione della marcia della pace si è svolta il 19 ottobre 2014. È la marcia del movimento pacifista italiano dove si porta alto il vessillo della bandiera della pace e dove si marcia in nome della pace e della fratellanza dei popoli.
Lisa Clark dei Beati costruttori di pace e dell’International Peace Bureau racconta la nascita della “bandiera della pace” (guarda il video qui)